Il saggio sull'introversione, di L. Anèpeta
("Timido, docile, ardente...")

15 maggio 2009

Ieri ho finito di leggere il saggio di Luigi Anèpeta "Timido, docile, ardente... Manuale per capire ed accettare valori e limiti dell'introversione (propria o altrui)". Erano anni che non leggevo un libro con tanta passione e così velocemente. Non mi aspettavo un testo così profondo, vivo, realistico, equilibrato, empatico, vibrante e al tempo stesso di grande spessore scientifico.

E tutto questo in un numero di pagine relativamente piccolo (circa 120), senza una parola di troppo, con uno stile essenziale, facile da leggere, totalmente scevro da quel vizio così comune alla letteratura accademica italiana, che mira a dimostrare l'erudizione dell'autore più che a trasmettere conoscenze al lettore, e che mi ha sempre spinto a preferire autori stranieri.

Questo saggio mi ha commosso, entusiasmato, ma anche turbato. Mi ha fatto rivivere sofferenze da adolescente introverso a cui non pensavo più e riaperto ferite che non sono così ben cicatrizzate come pensavo. Se da una parte mi fa sentire meno solo, meno "strano", dall'altra riaccende il mio rammarico per l'ignoranza della cultura di massa, intellettuale e istituzionale rispetto al problema dell'introversione e per le sofferenze che tale ignoranza continua a provocare in tante persone, soprattutto bambini e adolescenti.

Non mi era mai capitato di sentirmi così "compreso" e di questo sono immensamente grato al dottor Anèpeta, della cui grandezza sono sempre più convinto.

Delle tante cose che questo saggio mi ha insegnato, voglio ricordarne tre che mi fanno tuttora riflettere.

La prima è che ci sono molti modi di essere introverso, dove l'introversione è più o meno nascosta (alcuni introversi vengono addirittura scambiati per estroversi, come potrebbe essere nel mio caso) e accompagnata da sentimenti più o meno aggressivi o moralistici verso il prossimo, con i sensi di colpa e di vergogna che certi atteggiamenti possono comportare.

La seconda è l'alternanza o coesistenza del senso di inferiorità e di superiorità dell'introverso rispetto ai "normali" con tutte le difficoltà di socializzazione che entrambi i sentimenti comportano.

La terza è l'interpretazione del fenomeno dell'introversione in chiave genetica, sopratutto l'ipotesi per cui, così come l'homo sapiens si è prodotto da un rallentamento della crescita della specie che lo ha preceduto, il tipo introverso potrebbe essere il risultato di una mutazione in cui si determina un ulteriore rallentamento dello sviluppo dell'individuo, con il conseguente effetto potenziale di ulteriore "ingentilimento" della specie umana, il che assegnerebbe agli introversi un ruolo potenziale importantissimo per il progresso etico della specie umana, cosa di cui penso ci sia sempre più bisogno per evitarne l'estinzione a seguito di guerre o inquinamento.

Chi non avesse ancora letto questo saggio è calorosamente invitato a farlo, non importa se introverso o estroverso. Sono certo che, quanto maggiore sarà la sua diffusione, tanto migliore sarà la nostra civiltà, specialmente per quanto riguarda le condizioni di vita degli introversi e i rapporti tra introversi ed estroversi, in particolare quando gli estroversi si trovano ad assumere il ruolo di genitori, educatori o psicoterapeuti.

Bruno Cancellieri